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dell'impero romano cap. xxii 213

lire il trono d’un despota. Il trono di Giuliano, che dalla morte di Costanzo fu stabilito sopra una indipendente base, era la sede della ragione, della virtù, e forse della vanità. Ei disprezzava gli onori, rinunziava a’ piaceri, ed eseguiva con assidua diligenza i doveri dell’alto suo posto; e pochi vi sarebbero stati tra’ suoi sudditi che avessero acconsentito ad alleggerirlo del peso del diadema, se fossero stati costretti a sottoporre il lor tempo e le loro azioni a quelle rigorose leggi, che il filosofico Imperatore imponeva a se stesso. Uno de’ suoi più intimi amici1, che aveva spesso partecipato della frugale semplicità di sua mensa ha osservato che il suo parco e leggiero cibo (ch’era per ordinario di vegetabili) lasciavagli lo spirito e il corpo sempre libero e attivo per eseguire le varie ed importanti incumbenze d’Autore, di Pontefice, di Magistrato, di Generale, e di Principe. In uno stesso giorno dava udienza a più Ambasciatori, e scriveva o dettava un gran numero di lettere a’ Generali, ai Magistrati civili, a’ suoi privati amici, ed alla diverse città de’ suoi Stati. Ascoltava le suppliche che s’erano ricevute, considerava il soggetto della domanda, e indicava le sue intenzioni più rapidamente di quel che se ne potesse prender memoria dalla diligenza de’ suoi

    ra.) Arist. ap. Julian. p. 26l. Il MS. di Vossio, non contento d’una sola bestia, somministra la più forte lezione di θηπια fiere, che può garantirsi dall’esperienza del dispotismo.

  1. Libanio Orat. parent. c. 84, 85. p. 310, 311-312 ci ha dato quest’interessante ragguaglio della vita privata di Giuliano, Egli stesso in Misopogon p. 350. fa menzione del suo cibo vegetabile, e biasima il grossolano e sensuale appetito del popolo d’Antiochia.