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212 storia della decadenza

l’elevatezza della sua nascita, e gli accidenti della sua vita non gli lasciarono mai la libertà della scelta. Può essere ch’egli sinceramente avrebbe preferito i boschi dell’Accademia, o la società d’Atene; ma fu costretto a principio dalla volontà, ed in seguito dall’ingiustizia di Costanzo ad esporre la sua persona e la sua fama a’ pericoli dell’Imperiale grandezza, ed a farsi mallevadore al Mondo ed alla posterità della felicità di milioni di uomini1. Giuliano rifletteva con terrore a quell’osservazione del suo maestro Platone2 che il governo de’ nostri armenti e de’ nostri greggi si commette ad enti d’una specie superiore ad essi; e che la condotta delle nazioni meriterebbe, e richiederebbe le celesti facoltà degli Dei, o de’ Genj. Da questo principio a ragione concludeva, che l’uomo il qual pretende di regnare, aspirar dovrebbe alla perfezione della natura divina; che dovrebbe purgare il suo spirito da ogni parte mortale e terrestre, estinguere i suoi appetiti, illuminar l’intelletto, regolar le passioni, e soggiogare la selvaggia fiera, che, secondo la viva metafora d’Aristotile3, rare volte manca di sa-

  1. Giuliano medesimo p. 253-259. ha espresso queste idee filosofiche con molta eloquenza, e con qualche affettazione in una lettera molto elaborata a Temistio. L’Ab. della Bleterie (Tom. II. p. 146-183.) che ne ha fatta un’eloquente traduzione, è inclinato a credere, che questi fosse il celebre Temistio, di cui tuttavia sussistono le orazioni.
  2. Julian. ad Temist. p. 258. Il Petavio not. p. 95. osserva, che questo passo è preso dal libro quarto De Legibus; ma o Giuliano citava a mente, o i suoi manoscritti eran diversi da’ nostri. Senofonte incomincia la Ciropedia con una riflessione simile.
  3. Ο ὸε αγθρωπον κελἐυων αρχειν προςιθησι. καί θηριοι (chi esorta l’uomo a comandare l’insuperbisce, e lo muta in fie-