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dell'impero romano cap. xx |
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perstizione assai debolmente influiva nella causa della virtù. In tali circostanze, che scoraggiavano, un Magistrato prudente doveva osservar con piacere il progresso d’una religione, che diffondeva nel popolo un puro, benefico ed universal sistema di morale, adattata ad ogni dovere e ad ogni condizione, raccomandata come la volontà e la ragione della Suprema Divinità, ed invigorita dall’espettazione de’ premi o gastighi eterni. L’esperienza dell’Istoria Greca e Romana non era da tanto di far conoscere al mondo, quanto si potesse riformare e migliorare il sistema de’ costumi nazionali mediante i precetti di una Divina Rivelazione; e Costantino potè con fiducia prestare orecchio alle lusinghiere e in verità ragionevoli assicurazioni di Lattanzio. Pareva che l’eloquente Apologista aspettasse per fermo, e s’arrischiasse quasi a promettere, che lo stabilimento del Cristianesimo avrebbe restituita l’innocenza e la felicità de’ primitivi tempi; che il culto del vero Dio avrebbe estinto la guerra e la dissensione fra quelli i quali si risguardavan fra loro come figli d’un comun Padre; che per la cognizione dell’Evangelio si sarebbe tenuto a freno qualunque impuro appetito, qualunque passione d’ira o d’amor proprio, e che i Magistrati avrebber potuto porre nel fodero la spada della giustizia fra un popolo, che tutto quanto sarebbe stato retto da sentimenti di verità e di pietà, di equità e di moderazione, di armonia e d’amore universale1,
La passiva e docile obbedienza, cha si piega sotto
- ↑ Vedi l’elegante descrizion di Lattanzio (Div. Inst. v. 8.) ch’è molto più chiara e positiva di quel che convenga a un discreto Profeta.