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dell'impero romano cap. xxii 185

sare, l’oppressione dell’esercito Gallico, e gl’imbelli vizi del tiranno dell’Asia. I servi di Costanzo rimasero sorpresi ed agitati dal progresso di tale spirito pericoloso. Stimolarono Cesare ad affrettar la partenza delle truppe; ma imprudentemente rigettarono l’onesto o giudizioso consiglio di Giuliano, che proponeva loro di non muovere le schiere verso Parigi, ed indicava il pericolo e la tentazione d’un ultimo abboccamento.

Tostochè fu annunziato l’avvicinarsi delle truppe, Cesare andò loro incontro e salì sul suo Tribunale che era stato eretto in una pianura fuori delle porte della Città. Dopo d’aver distinto gli Uffiziali ed i soldati, che pei loro posti ed azioni meritavan particolare attenzione, Giuliano si voltò con una studiata orazione alla moltitudine che lo circondava; celebrò con grato applauso le loro imprese, gl’incoraggiò ad accettare con allegrezza l’onore di militar sotto gli occhi d’un potente e generoso Monarca, e gli avvertì che i comandi d’Augusto richiedevano un immediata e volontaria ubbidienza. I soldati, che temevan d’offendere il lor Generale con indecenti clamori, o di mentire i lor sentimenti con false e venali acclamazioni, conservarono un ostinato silenzio, e dopo breve posa furono rimandati a’ loro quartieri. I principali Uffiziali ammessi furono alla mensa di Cesare, che protestava, col più tenero linguaggio dell’amicizia, il desiderio che aveva, e l’impotenza in cui si trovava di premiare, secondo i lor meriti, i prodi compagni delle sue vittorie. Essi partiron da tavola pieni di dolore e di pensieri, e si dolevano della durezza di loro sorte, che dividevagli dall’amato lor Generale, e dal lor paese nativo. Fu arditamente discusso, ed approvato l’unico espediente, che impedir potesse quella separazione; lo sdegno po-