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dell'impero romano cap xvi. |
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Chiese. In alcune Province però i Magistrati si contentarono di far chiudere i luoghi del culto religioso; in altre più alla lettera eseguirono i termini dell’editto, e dopo aver tirato fuori le porte, i banchi, ed il pulpito, che fecero bruciare come un rogo funereo, totalmente demolirono il resto degli edifizi1. Forse a quella trista occasione si deve applicare un’istoria molto considerabile che si racconta con tanto varie ed improbabili circostanze, che serve ad eccitare piuttosto che a soddisfar la nostra curiosità. Pare che in una piccola città della Frigia, di cui non ci è rimasto nè il nome nè la situazione, tanto i Magistrati quanto il corpo del popolo avessero abbracciato la fede Cristiana; e siccome poteva temersi qualche resistenza all’effettuazion dell’editto, così il Governatore della Provincia ebbe il rinforzo di un numeroso distaccamento di legionari. All’avvicinarsi di questi, i Cittadini si ritirarono dentro la Chiesa, risoluti o di difender con le armi il sacro edifizio o di perire sotto le sue rovine. Rigettarono con isdegno la notizia e la permissione data loro di ritirarsi, a segno che irritati i soldati dalla lor ostinazione posero fuoco da tutte le parti alla fabbrica, e con questa specie straordinaria di martirio consumarono un gran numero di Frigj con le lor mogli e figliuoli2.
- ↑ Le memorie antiche, pubblicate al fine delle Opere di Ottato, (p. 261) descrivono in una maniera molto circostanziata come procedevano i Governatori nella distruzion delle Chiese. Facevano essi un minuto inventario de’ vasi che vi trovavano. Sussiste ancora quello della Chiesa di Cirra nella Numidia: consisteva in due calici d’oro e sei d’argento, in sei urne, una caldaia, sette lampade, il tutto parimente d’argento, oltre una gran quantità di utensili di rame e di vestimentî sacri.
- ↑ Lattanzio (Instit. Div. V. II) restringe tal calamità al