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dell'impero romano cap xvi. 89

stito a fuoco lento, e gli esecutori, bramosi di vendicare l’insulto fatto personalmente agl’Imperatori, esaurivano ogni finezza di crudeltà senza esser capaci di vincer la sua pazienza, o di alterar quel continuo ed insultante sorriso, ch’egli conservò sempre nelle ultime sue agonie. I Cristiani, quantunque confessassero che tal condotta rigorosamente non era stata conforme alle leggi della prudenza, pure ammiravano il divino fervor del suo zelo; l’eccessive lodi, che prodigalmente diedero alla memoria del loro Martire ed Eroe, contribuirono a figgere nella mente di Diocleziano una profonda impressione di terrore e di odio1.

Ben presto si misero in moto i suoi timori alla vista di un pericolo, al quale appena egli potè sottrarsi. Nello spazio di quindici giorni, il Palazzo di Nicomedia, ed eziandio la camera in cui dormiva Diocleziano, si trovarono due volte in mezzo alle fiamme; e sebbene ambedue le volte queste fossero estinte senz’alcun danno considerabile, pure la singolar reiterazione del fuoco fu non senza ragion risguardata come un’evidente prova, che quello non era stato l’effetto della negligenza o del caso. Il sospetto cadde naturalmente sopra i Cristiani, e fu suggerito, con qualche specie di probabilità, che que’ disperati fanatici, provocati dagli attuali lor patimenti, e temendo le calamità che lor sovrastavano, aveano formato una cospirazione cogli eunuchi del palazzo, fedeli loro fratelli, contro le

  1. Lattanzio solamente lo chiama quidquam etsi non recte, magno tamen animo ec. c. 12. Eusebio (l. VIII. c. 5) l’adorna degli onori secolari. Nessuno si è avvisato di far menzione del suo nome; i Greci però celebrano la memoria di lui sotto il nome di Giovanni. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. V. p. II. p. 320.