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dell'impero romano cap xvi. | 83 |
alla quale porgeva l’imprudente zelo de’ Cristiani qualche volta i più speciosi pretesti. Fu eseguita una sentenza di morte contro Massimiliano, giovane d’Affrica, ch’era stato dal proprio padre condotto avanti del Magistrato, come capace d’esser legittimamente reclutato, ma che ostinatamente sosteneva, che la propria coscienza non gli avrebbe mai permesso di abbracciare la professione della milizia1. Difficilmente potrebbe sperarsi che alcun governo soffrisse, che l’atto del Centurione Marcello restasse impunito. Quest’uffiziale, in un giorno di pubblica solennità, gettò via la cintura, le armi e le insegne del proprio impiego, ed esclamò ad alta voce, ch’esso non voleva obbedire ad altri che all’eterno Re Gesù Cristo, e che rinunziava per sempre l’uso delle armi carnali ed il servizio di un Sovrano idolatra. I soldati, rimasti attoniti, appena ripreser l’uso de’ propri sensi, che arrestaron Marcello. Fu egli esaminato nella città di Tingi dal Presidente di quella parte della Mauritania, e siccome era convinto dalla sua propria confessione, fu condannato, e decapitato come disertore2. Esempi di tal natura
- ↑ Vedi Acta Sincera p. 299. Le istorie del martirio di lui e di Marcello portano qualche carattere di verità e di autenticità.
- ↑ Act. Sincer. p. 302.
martirio per ordine di Massimiano nella valle delle alpi Pennine. Ne fu per la prima volta pubblicata l’istoria, verso la metà del quinto secolo, da Eucherio Vescovo di Lione, che l’ebbe da certe persone, alle quali era stata comunicata da Isacco Vescovo di Ginevra, che si dice averla ricevuta da Teodoro Vescovo d’Ottoduro. Tuttavia sussiste l’Abbazia di S. Maurizio, ricco monumento della credulità di Sigismondo Re di Borgogna. Vedasi un’eccellente dissertazione nel Tomo XXXIV. della Bibliotheque raisonnée p. 427-454.