58 |
storia della decadenza |
|
picio Severo, desideravano il martirio con maggiore ansietà di quel che i suoi contemporanei sollecitassero un Vescovato1. L’epistole scritte da Ignazio, quando egli era condotto in catene per le città dell’Asia, spirano i sentimenti più ripugnanti alla comune inclinazione della natura dell’uomo. Vivamente egli prega i Romani, che quando sarà esposto nell’Anfiteatro, non vogliano con le lor tenere ma inopportune intercessioni privarlo della corona della gloria, e si dichiara risoluto di voler provocare ed irritar le bestie feroci, che verrebbero impiegate come istrumenti della sua morte2. Si raccontano alcune storie del coraggio di Martiri, che effettivamente fecero quel che Ignazio s’era proposto: che inasprirono il furor de’ Leoni, sollecitaron l’esecutore ad affrettare il suo uffizio, allegramente saltaron nel fuoco preparato per consumarli, e dimostrarono un senso di gioia e di piacere nel mezzo de’ più squisiti tormenti. Si son conservati molti esempi di uno zelo, che non poteva soffrire que’ freni che gl’Imperatori avean posti per sicurezza della Chiesa. Supplivano alle volte i Cristiani medesimi con la propria volontaria dichiarazione alla mancanza di un accusatore, precipitosamente sturbavano le pubbliche funzioni del Paganesimo3, e correndo in folla a’ tribunali
- ↑ Certatim gloriosa in certamina ruebatur; multoque avidius tum martiria gloriosis motibus quaerebantur, quam nunc Episcopatus pravis ambitionibus appetuntur. Sulpic. Sever. l. II. Egli poteva omettere la parola nunc.
- ↑ Vedi Epist. ad Rom. c. 4, 5 ap. Patres Apostol. (Tom. II. p. 27.). Era confacente al proposito del Vescovo Pearson (Vindic. Ignatian. part. II. c. 9) di giustificare con profusione di esempi e di autorità i sentimenti d’Ignazio.
- ↑ L’Istoria di Polieuto, sulla quale Cornelio ha formato