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dell'impero romano cap xvi. 51

ch’egli stesso dichiarava di ricever frequentemente nelle visioni e nell’estasi, erano le ragioni, ch’esso adduceva per giustificarsi1. Ma si vede la sua migliore apologia nella volontaria fermezza, con cui, circa otto anni dopo, soffrì la morte per causa della religione. È stata fatta l’istoria autentica del suo martirio con insolito candore ed imparzialità; onde un breve ragguaglio delle circostanze più importanti, che l’accompagnarono, ci darà la più chiara idea dello spirito e delle formalità delle persecuzioni Romane2.

Nel tempo che Valeriano era Console per la terza volta, e Gallieno per la quarta, Paterno, Proconsole d’Affrica, citò Cipriano a comparire avanti al suo Consiglio privato. Ivi l’informò dell’ordine Imperiale che allora avea ricevuto3, affinchè quelli, che avevano abbandonato la religione Romana, dovessero immediatamente tornare a praticar le ceremonie de’ loro antenati. Cipriano replicò senza esitare, ch’egli era un Cristiano ed un Vescovo consacrato al culto dell’unico e vero Dio, al quale offeriva ogni giorno le proprie suppliche per la salvezza e prosperità de’ due Imperatori,

  1. Vedi Cipriano, Epist. 16, e la vita che ne fece Ponzio.
  2. Abbiamo una vita originale di Cipriano fatta dal Diacono Ponzio, compagno del suo esilio e spettatore della sua morte; e possediamo ancora gli antichi Atti Proconsolari del suo martirio. Questi due documenti son coerenti fra loro e probabili; e quel ch’è più osservabile, sono spogliati di qualunque circostanza maravigliosa.
  3. Potrebbe parere, che questi fosser ordini circolari mandati a tutti i Governatori nel medesimo tempo. Dionisio (ap. Euseb. l. VII. c. 11.) racconta l’Istoria del proprio esilio da Alessandria, quasi nell’istessa maniera. Ma siccome egli evitò la morte, o sopravvisse alla persecuzione, si dee reputare o più o men fortunato di Cipriano.