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erano dal temperamento, ed imposte dal presente suo stato, appoco appoco gli cattivarono l’affezione degli stranieri, non meno che de’ cittadini co’ quali trattava. Alcuni de’ suoi compagni di studio poterono per avventura esaminare la sua condotta con occhio di pregiudizio e d’avversione; ma Giuliano stabilì nelle scuole d’Atene una prevenzione in favore delle sue virtù e de’ suoi talenti, la quale tosto si sparse per tutto il Mondo Romano1.

Mentre Giuliano passava il suo tempo in quello studioso ritiro, l’Imperatrice, risoluta di condurre a fine il disegno che aveva formato, non si dimenticò di aver cura della sua fortuna. La morte dell’ultimo Cesare avea lasciato solo Costanzo investito del comando, ed oppresso dal moltiplice peso di un vasto Impero. Avanti che saldate fossero le ferite di una discordia civile, vennero inondate le Province della Gallia da un diluvio di Barbari. I Sarmati più non avevano in rispetto la barriera del Danubio. L’impunità della rapina aveva accresciuto l’ardire ed il numero de’ selvaggi Isauri: questi ladroni scendevano dalle scoscese lor rupi a devastare il circonvicino paese, ed avevano già tentato, quantunque senza buon suc-

  1. Libanio e Gregorio Nazianzeno hanno esaurito gli artifizi e le forze della loro eloquenza per rappresentar Giuliano come o il primo fra gli Eroi, o il peggior de’ Tiranni. Gregorio fu di lui condiscepolo in Atene; ed i sintomi, ch’egli sì tragicamente descrive della futura empietà dell’Apostata, si riducono solo ad alcune imperfezioni di corpo, ed a certe singolarità del suo conversare, e delle sue maniere. Esso protesta, ciò nonostante, che fin d’allora previde e predisse le calamità della Chiesa e dello Stato. (Gregor. Naz. Orat. IV. p. 121, 122.)