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dell'impero romano cap xvi. |
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postoli; ma una più esatta ricerca ci porterà a dubitare, se fu permesso ad alcuna di quelle persone, che avevan veduto i miracoli di Cristo, di contestare col proprio sangue oltre i confini della Palestina la verità della loro testimonianza1. Atteso l’ordinario periodo della vita umana, può molto naturalmente presumersi che la maggior parte di essi fossero morti, avanti che il rancor degli Ebrei scoppiasse in quella furiosa guerra, la quale non finì che con la rovina di Gerusalemme. Per un lungo tratto di tempo, che passò dalla morte di Cristo fino a quella memorabile ribellione, non possiamo ravvisare alcun vestigio d’intolleranza Romana, eccettuata la subitanea, passeggiera, ma crudele persecuzione, che fu mossa da Nerone contro i Cristiani della Capitale, trentacinque anni dopo il primo, e solo due anni avanti il secondo, di que’ grandi eventi. Il carattere dell’Istorico filosofo, al quale principalmente dobbiamo la cognizione di questo singolar fatto, sarebbe per se solo bastante ad impegnar la nostra più attenta considerazione.
Nel decimo anno del Regno di Nerone la Capitale dell’Impero fu afflitta da un fuoco, che infierì oltre la memoria o l’esempio de’ secoli precedenti2. Restarono involti in una comune distruzione i monumenti
- ↑ Nel tempo di Tertulliano e di Clemente Alessandrino la gloria del martirio si ristringeva a S. Pietro, a S. Paolo, ed a S. Giacomo. I Greci più moderni bel bello l’attribuirono al resto degli Apostoli, e prudentemente scelsero per teatro della lor predicazione e de’ lor tormenti qualche remoto paese di là da’ confini del Romano Impero, Vedi Mosemio p. 81, e Tillemont Mémoires Eccles. Tom I. p. III.
- ↑ Tacit. Annal. XV. 38, 44. Sueton. in Neron. c. 38. Dion. Cass. l. LXII. p. 1014. Oros. VII. 7.