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dell'impero romano cap. xvii. 295

un’ombra di quella severa semplicità, che ne’ tempi della libertà e della vittoria, soleva distinguere la linea di battaglia d’un esercito Romano dalla confusa oste d’un Monarca dell’Asia1. Un computo più particolarizzato, tratto dalla Notizia, potrebbe esercitare la diligenza d’un antiquario; ma l’istorico dovrà contentarsi d’osservare, che il numero delle stazioni, o guarnigioni, stabilite sulle frontiere dell’Impero, ascendeva a cinquecento ottantatremila soldati, e che, al tempo dei successori di Costantino, l’intera forza della milizia si considerava di seicento quarantacinquemila2. Uno sforzo così prodigioso eccedeva il bisogno de’ più antichi tempi e le forze de’ più recenti.

Secondo i varj stati della società si reclutano gli eserciti per motivi molto diversi. I Barbari sono stimolati dall’amor della guerra; i cittadini d’una Repubblica libera sogliono essere indotti da un principio di dovere; i sudditi, o almeno i nobili d’una Monarchia sono animati da un sentimento d’onore; ma i timidi e lussuriosi abitatori d’un decadente Impero non possono essere allettati a militare che dalla speranza del guadagno, o costretti dal timor della pena. Gli scrigni del Romano erario erano esausti per l’accrescimento dello stipendio, pei ripetuti donativi, e per l’invenzione di nuovi emolumenti e concessioni, che nell’o-

  1. Romana acies unius prope formae erat et hominum, et armorum genere. Regia acies varia magis multis gentibus dissimilitudine armorum, auxiliorumque erat. Tit. Liv. l. XXXVII. c. 39, 40. Flaminio anche prima dell’evento avea paragonato l’esercito d’Antioco ad una cena, in cui si fosse cucinata la carne d’un vile animale in diverse maniere dall’arte de’ cuochi. Vedi la vita di Flamin. in Plutarco.
  2. Agat. l. V. p. 157. Edit. Louvre.