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dell'impero romano cap xvi. 19

membra ancor palpitanti, e s’impegnavano, per esser fra loro tutti complici del delitto, ad un eterno silenzio. Con uguale confidenza affermavasi, che a questo crudel sacrificio succedeva un ben degno convito, in cui l’intemperanza serviva a provocar le brutali passioni, finchè, nel momento assegnato, i lumi ad un tratto venivano estinti, bandito il pudore, e la natura dimenticata; e come il caso portava, l’oscurità della notte si contaminava dall’incestuoso commercio dei fratelli colle sorelle e delle madri coi figliuoli1.„

Ma era sufficiente la lettura delle antiche apologie per rimuover dalla mente di un ingenuo avversario qualunque più leggiero sospetto. I Cristiani coll’intrepida sicurezza dell’innocenza, dal romor popolare si appellano all’equità de’ Magistrati; convengono che se alcuna prova si può addur de’ delitti, che la calunnia loro ha imputati, son degni del più severo gastigo. Affrontano la pena, e disfidan le prove. Nel tempo stesso dimostrano con ugual verità e naturalezza, che l’accusa manca di probabilità non meno che di prova, domandano essi, come alcuno può credere seriamente che i puri e santi precetti dell’Evangelo, i quali tanto spesso restringono l’uso de’ piaceri più leciti, dovessero inculcar la pratica de’ misfatti più abbominevoli; che una numerosa società si potesse risolvere a disonorarsi agli occhi de’ suoi propri membri; e che un gran numero di persone di ogni sesso, di ogni età,

  1. Vedi Giustino Mart. Apolog. I, 35, II, 14. Atenagora in Legation. c. 27, Tertulliano Apolog. c. 7, 8, 9. Minucio Felice c. 9, 10, 30, 3l. l’ultimo di questi Scrittori riferisce l’accusa nella più elegante e circostanziata maniera; la risposta di Tertulliano è più ardita e più vigorosa.