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dell'impero romano cap. xvii. |
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di una città destinata ad essere in futuro la dominante dell’Oriente, ed a sopravvivere all’Impero ed alla religione di Costantino. I motivi o d’orgoglio o di politica, che a principio indussero Diocleziano a ritirarsi dall’antica sede del governo, avevano acquistato maggior peso per l’esempio de’ suoi successori, e per la consuetudine di quarant’anni. Roma si era insensibilmente confusa co’ regni dipendenti, che ne avevano una volta riconosciuto il dominio; e la patria de’ Cesari si riguardava con fredda indifferenza da un Principe marziale nato nelle vicinanza del Danubio, educato nelle Corti ed armate dell’Asia, ed investito della porpora dalle legioni della Britannia. Gl’Italiani, che ricevuto avevano Costantino come loro liberatore, umilmente obbedivano agli editti, ch’esso qualche volta si compiaceva d’indirizzare al Senato ed al Popolo Romano; ma di rado venivan onorati dalla presenza del nuovo loro Sovrano. Nel vigore della sua età, Costantino, secondo le varie occorrenze di guerra o di pace, muovevasi ora con lenta dignità, ora con attiva diligenza lungo le frontiere de’ suoi vasti dominj; ed era sempre apparecchiato ad entrare in battaglia tanto contro gli esterni, che contro gl’interni nemici. Ma come egli giunse, di grado in grado, al sommo della prosperità e ad un’età più matura, incominciò a pensare di stabilire la forza e la maestà del Trono in una più durevole sede. Volendo scegliere una situazione vantaggiosa, preferì a qualunque altra quella, che serve di confine fra l’Asia e l’Europa, tanto per domare con potenti armi i Barbari, che abitavano tra il Danubio ed il Tanai, quanto per osservare con occhio geloso la condotta del Re di Persia, che di mal animo soffriva il giogo d’un ignominioso trattato. Con