Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/168

162 saggio

dell’Impero, dovè pensare ad una forma di governo particolare. Che i Cristiani fossero nemici dell’Idolatria, senz’esserlo dell’Impero, a cui ciecamente sempre si sottomisero, è cosa per loro gloriosa. Ma non si tratta ora di questo; si tratta di consultare i libri autentici della vita di Gesù Cristo, per vedere se vi lasciò istituito un governo, e di mostrar così quanto deviino dalla verità le congetture del nostro Autore.

Ivi si scorge, che Gesù Cristo ai soli Apostoli diede la facoltà di legare e di sciogliere; che a loro soli assegnò dodici troni per giudicare le dodici tribù; che a loro soli confidò il diritto di pascere le sue pecorelle. Infatti ebbe egli inoltre settantadue discepoli, ai quali non conferì se non una missione a certo tempo limitata, e ben si vede che non gli fece partecipi dei privilegi compartiti agli Apostoli. E perchè alla Chiesa aveva promessa la perpetuità, nè si può concepire una società permanente senza una forma di governo, chiara cosa è, che l’autorità conferita agli Apostoli doveva secondo l’intenzione divina trasfondersi ne’ successori. Ma diremo che ogni Fedele succede agli Apostoli? In tal guisa tutti sarebbero Giudici, tutti Dottori, tutti Pastori, cioè nessuno Giudice, nessuno Dottore, nessuno Pastore, essendo questi termini relativi, che portano seco l’idea d’una subordinazione. Per non attribuire a Cristo un assurdo sì strano, uopo è dire che alle facoltà degli Apostoli succedono alcuni dei Fedeli, non tutti i Fedeli: e così il più leggiero ragionamento, che si faccia sopra i passi della Scrittura, purchè non si abbia impegno di difendere il sistema del partito, atterra irreparabilmente la democrazia, e stabilisce l’aristocrazia nella forma del governo delineata dal Legislatore Divino.