Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano III.djvu/146

140 saggio

fedeli: in tutto il restante perde di vista la conclusione; e finalmente termina con asserire, che i Gentili entravano per curiosità o per credulità nella Chiesa che vantava il poter de’ miracoli.

Tanta parsimonia qui non è fuor di ragione. Imperciocchè impegnatosi egli a provare, ch’erano illusioni o imposture i miracoli, che all’antica Chiesa si attribuiscono, il mettersi poscia a seriamente provare, che l’imposture e l’illusioni contribuivano a convincere gl’Infedeli, sarebbe stato lo stesso che contraddirsi.

Quindi dobbiamo prendere in ischerzo, che i Gentili rinunciassero alla propria Religione, ed entrassero nella Chiesa perseguitata dal Principe per pura curiosità. Questo sarebbe un nuovo principio morale di mutar il cuore, e dal libertinaggio farlo passare all’estremo di una vita pura ed austera.

Vi potevano entrare per credulità. In quel tempo i Romani erano troppo illuminati, e a udire l’Autore avevano già scossa l’autorità della Mitologia, che spacciava tante maraviglie. Or poi entrati per soverchia semplicità nella Chiesa, come potevano rimanervi, trovando la loro aspettazione delusa? Se miracoli non se ne operavano, i Proseliti non potevano trovarvene. Chi gl’incantava? Come concepivano un tenacissimo attaccamento a questa madre? Per quale speranza si lasciavano barbaramente tormentare e toglier la vita? Subodorata appena l’impostura o l’illusione, non dovevano abbandonare con isdegno una società infame? Non dovevano alzar la voce, ed avvertire i parenti, gli amici, i magistrati, il pubblico, che si guardassero dalle frodi Cristiane?

Sarebbe puerilità il voler più insistere sopra un assurdo così palpabile: rivolgiamoci piuttosto all’oggetto,