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dell'impero romano cap xvi. |
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dere. I più gravi Istorici Ecclesiastici, ed Eusebio stesso, molto francamente confessano, di aver riferito tutto ciò che potea ridondare in gloria, e di aver soppresso tutto quel che poteva tendere al disonore della religione1. Tal protesta dovrà eccitare naturalmente il sospetto, che uno scrittore, il quale ha sì apertamente violato una delle leggi fondamentali dell’Istoria, non abbia avuto molto riguardo all’osservanza delle altre; ed il sospetto prenderà sempre maggior vigore dal carattere d’Eusebio, che era meno portato alla credulità, e più esercitato negli artifizi delle Corti, che quasi tutti gli altri di lui contemporanei. In alcune occasioni particolari, quando i Magistrati erano inaspriti da qualche personal motivo d’interesse o di sdegno, quando lo zelo de’ Martiri li muoveva a dimenticar le regole della prudenza, e forse anche della decenza, a rovesciare gli altari, a scagliare imprecazioni contro gl’Imperatori, ad offendere il Giudice sedente nel suo Tribunale, allora si può supporre, che qualunque genere di tormenti, cui la crudeltà potesse inventare o la costanza soffrire, esaurito venisse su quelle vittime, destinate al supplizio2. Si è fatta però costante men-
- ↑ Tale è la bella deduzione che si trae da due passi notabili appresso Eusebio l. VIII. c. 2, e de Martyr. Palest. c. 12. La prudenza dell’Istorico ha esposto il suo carattere alla censura ed al sospetto. Era ben noto, ch’egli stesso era stato posto in carcere, e si supponeva che se ne fosse liberato per mezzo di qualche disonorevole compiacenza. Tal accusa gli fu mossa contro nel tempo ch’esso viveva, ed anche alla sua presenza nel Concilio di Tiro. Vedi Tillemont Mem. Eccles. Tom. VIII. Part. 1. p. 67.
- ↑ L’antica, e forse autentica narrazione de’ patimenti di Taraco, e de’ suoi compagni (Act. Sincer. Ruinart. p. 419-448) è piena di forti espressioni di disprezzo e di sdegno, che non