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dell'impero romano cap xvi. 95

dall’odiosa loro superstizione, ed obbligarli a tornare al Culto già stabilito degli Dei. Quest’ordine rigoroso fu esteso da un altro editto a tutto il corpo de’ Cristiani, che furono esposti ad una violenta e generale persecuzione1. In vece di que’ freni salutari, ch’esigevano la diretta e solenne testimonianza di un accusatore, il dovere non meno che l’interesse degli uffiziali Imperiali divenne quello di scuoprire, di perseguitare, e di tormentare i più distinti Fedeli. Furono stabilite gravi pene contro tutti coloro, che avesser preteso di salvare un proscritto settario dal giusto sdegno degli Dei e degl’Imperatori. Nonostante però la severità di tal legge, il virtuoso coraggio, ch’ebbero molti Pagani di celare i loro amici o congiunti, somministra una prova onorevole che il furore della superstizione non aveva estinto ne’ loro animi i sentimenti della natura e della compassione2.

Appena Diocleziano ebbe pubblicato i suoi editti contro i Cristiani, che desiderando egli di commettere ad altre mani l’opera della persecuzione, si spogliò della porpora Imperiale. Il carattere e la situazione de’ suoi colleghi e successori li mossero talvolta a mantenere in vigore, e talvolta a sospendere l’esecuzione di queste rigorose leggi, nè acquistar possiamo una giusta e distinta idea di quest’importante periodo d’istoria Ecclesiastica, se non consideriamo separatamente

  1. Vedi Mosem. (p. 938.) Il testo d’Eusebio chiaramente dimostra, che i Governatori, de’ quali fu esteso, non già ristretto il potere, in forza delle nuove leggi potevan condannare alla morte i più ostinati Cristiani per servir d’esempio a’ lor confratelli.
  2. Atanasio p. 833. ap. Tillemont. Mem. Eccles. Tom. V. part. I. p. 90.