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dell'impero romano cap. xv. | 347 |
dalla professione del Cristianesimo. Molti cittadini Romani furon condotti avanti al tribunale di Plinio, ed egli presto scuoprì che un gran numero di persone di ogni ordine avevano abbandonato nella Bitinia la religione de’ lor maggiori1. Alla non sospetta testimonianza di lui può in questo caso prestarsi più fede, che all’audace disfida di Tertulliano, allorchè si rivolge al timore non meno che all’umanità del Proconsole dell’Affrica, assicurandolo, che se persiste nelle sue crudeli intenzioni, dovrà decimar Cartagine, e che troverà fra’ colpevoli molti del suo proprio grado, Senatori e Matrone dell’estrazione più nobile, e gli amici o i parenti de’ suoi più intimi amici2. Sembra però che circa quarant’anni dopo, l’Imperator Valeriano fosse persuaso della verità di quest’asserzione, mentre in uno de’ suoi rescritti evidentemente suppone, che Senatori, Cavalieri Romani e Dame di qualità fossero impegnate nella setta Cristiana3. La Chiesa continuava sempre ad accrescere il proprio esterno splendore, a misura che andava perdendo l’interna sua purità, e nel Regno di Diocleziano, il Palazzo, le Corti di Giustizia, ed anche l’esercito ricettavano una moltitudine di Cristiani, che procuravan di conciliar gl’interessi della vita presente con quelli della futura.
Contuttocciò tali eccezioni o son troppo poche in numero o troppo recenti in tempo per togliere intie-
- ↑ Plin. Epist. X. 97. Fuerunt alii similis amentiae cives Romani.... Multi enim omnis aetatis, omnis ordinis, utriusque sexus etiam vocantur in periculum et vocabuntur.
- ↑ Tertullian. ad Scapulam. Eppure tutta la sua rettorica non s’estende a pretendere più che la decima parte di Cartagine.
- ↑ Ciprian. Epist. 79.