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dell'impero romano cap. xv. | 307 |
dell’assemblea, e col loro orgoglio o falso zelo indussero specialmente nella Chiesa Apostolica di Corinto una lunga e trista serie di disordini1. Siccome l’instituto de’ Profeti divenne inutile, ed anche dannoso, ne fu tolta di mezzo la potestà, ed abolito l’uffizio. Le pubbliche funzioni della Religione furono solamente affidate a ministri già stabiliti nella Chiesa, vale a dire a Vescovi, ed a Preti: nomi, che nella lor prima origine sembra, che indicassero lo stesso ministero, ed ordine di persone. Quello di Prete esprimeva la loro età, o piuttosto la lor gravità e saviezza; quello poi di Vescovo denotava l’ispezione che avevano sopra la fede, ed i costumi de’ Cristiani, commessi alla pastorale lor cura. Proporzionatamente al numero de’ fedeli, una maggiore o minor quantità di questi Preti Episcopali governava ogni nascente congregazione con uguale autorità, e con union di consigli2.
Ma la più perfetta uguaglianza di libertà esige la direzione di un Magistrato superiore; e l’ordine delle pubbliche deliberazioni, ben presto introduce l’uffizio d’un Presidente, che almeno abbia l’autorità di raccogliere le opinioni, e di eseguire i decreti dell’assemblea. Un riguardo alla pubblica tranquillità, che sarebbe stata frequentemente interrotta dalle annuali, o accidentali elezioni, mosse i primitivi Cristiani a stabilire una perpetua, ed onorevole magistratura, ed a scegliere uno de’ più prudenti e santi fra’ loro Preti per eseguire, finchè viveva, i doveri di loro ecclesiastico direttore. In quest’occasione fu che il sublime titolo di Vescovo s’incominciò ad innalzare sopra l’umile de-