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dell'impero romano cap. xv. | 305 |
tito per la Repubblica, ed alle volte anche una simile indifferenza rispetto all’uso di qualunque sorta di mezzi, che potessero probabilmente condurre a sì desiderabile fine. L’ambizione d’innalzar se stessi, o i loro amici agli onori ed agli uffizi della Chiesa, coprivasi con la lodevole intenzione di sacrificare al pubblico vantaggio il potere e la stima, che solo per tal oggetto erano essi in dovere di procacciarsi. Nell’esercizio delle lor funzioni molto frequentemente occorreva di scoprire gli errori dell’eresia, o gli artifizi della fazione, di opporsi a’ disegni de’ malvagi fratelli, di mostrarne le persone colla meritata infamia, e di escluderli dal seno di una società, la cui pace e felicità tentato avevano di turbare. Gli Ecclesiastici direttori de’ Cristiani dovevano unire la prudenza del serpente coll’innocenza della colomba; ma come la prima si andò raffinando, così la seconda insensibilmente corruppesi per l’abitudine del Governo. Nella Chiesa ugualmente che nel Mondo, le persone, costituite in qualche pubblico impiego, si rendevan considerabili per la loro eloquenza e fermezza, per la cognizione degli uomini, e per la destrezza negli affari, e mentre nascondevano agli altri, e forse a se medesimi i segreti motivi della lor condotta, ricadevano troppo frequentemente in tutte le tumultuarie passioni della vita attiva, le quali avevano acquistata la tintura di un maggior grado di amarezza, e di ostinazione per l’infusione dello spirituale.
Il Governo della Chiesa spesso è stato il soggetto non meno che il guiderdone di religiose contese. Gli ostinati disputanti di Roma, di Parigi, di Oxford, e di Ginevra si sono sforzati ugualmente per ridurre cia-