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dell'impero romano cap. xv. 295

dini un’altra considerazione di una specie meno spirituale, ma molto innocente e lodevole. Ogni particolar società, che si è staccata dal corpo di una nazione, o dalla religione alla quale apparteneva, diviene immediatamente l’oggetto dell’universale ed invidiosa osservazione. A misura che n’è piccolo il numero, possono influire sul carattere della società le virtù od i vizi delle persone, che la compongono; ed ogni membro si trova impegnato ad invigilare colla più premurosa attenzione sulla propria condotta, e su quella de’ suoi fratelli, mentre siccome deve aspettarsi di esser partecipe delle comuni disgrazie, così può sperar di godere una parte della comune riputazione. Quando furono condotti i Cristiani della Bitinia avanti al tribunale di Plinio il Giovane, assicurarono il Proconsole, che lungi dall’intignere in alcuna cospirazione illegittima, essi con una solenne obbligazione astringevansi ad astenersi da qualunque delitto che potesse disturbar la privata o pubblica pace della società, da’ furti, dalle ruberie, dagli adulterj, dagli spergiuri e dalle frodi1. Quasi un secolo dopo, Tertulliano con onesto orgoglio poteva vantare, che ben pochi Cristiani erano stati giustiziati per mano del carnefice, eccettuati quelli, che avean sofferto a motivo della lor religione2. La vita seria e ritirata, che facevano, contraria alle tumultuarie costumanze di quel tempo, gli assuefaceva alla castità, alla temperanza, all’economia, ed a tutte le sobrie e domestiche virtù. Comechè per la maggior parte si esercitavano in qualche negozio, o professione, vi at-

  1. Plinio Epist. X. 97.
  2. Tertullian. Apolog. c. 44. Egli soggiunge però con qualche dubbiezza, „aut si aliud, jam non Christianus„.