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dell'impero romano cap. xv. | 277 |
trina dell’immortalità dell’anima si omette nella legge di Mosè, viene oscuramente indicata da’ Profeti, e pel lungo tratto di tempo, che passò fra la schiavitù dell’Egitto, e quella di Babilonia, sembra, che i timori e le speranze de’ Giudei limitate fossero agli angusti confini della vita presente1. Dopo che Ciro ebbe permesso all’esiliata nazione di ritornar nella Terra Promessa, e che Esdra ebbe ristaurato le antiche memorie della sua religione, appoco appoco si formarono in Gerusalemme due celebri Sette, quella cioè de’ Farisei, e quella de’ Sadducei2. Questi, che facevano la parte più ricca e distinta della società, erano strettamente attaccati al letteral senso della legge Mosaica, e scrupolosamente rigettavano l’immortalità dell’anima, come un’opinione non autorizzata dal libro divino, ch’essi veneravano, come l’unica regola della lor fede. I Farisei poi combinavano l’autorità della tradizione con quella della scrittura, e sotto nome di tradizione ammettevano molte massime speculative, tratte dalla filosofia o dalla religione delle nazioni orientali. Le dottrine del fato o della predestinazione, degli
- ↑ Vedi Le Clerc. Prolegom. ad hist. Ecle. c. I. Sect. 8. Sembra, che l’autorità di lui sia di grandissimo peso, avendo egli scritto un dotto e giudizioso Comentario su’ libri del vecchio Testamento.
- ↑ Josephus Antiq. l. XIII. c. 18. Secondo l’interpretazione più naturale delle sue parole, i Sadducei non ammettevano che il Pentateuco; ma è piaciuto ad alcuni moderni critici di aggiungere al loro Credo anche i Profeti, o di supporre che si contentassero solo di rigettar le tradizioni de’ Farisei. Il Dottore Jortin ha discusso tal articolo nelle sue Osservazioni sopra l’Istoria Ecclesiastica, vol. II. p. 103.
tivo assai curioso di tal omissione, o molto ingegnosamente la ritorce contro i miscredenti.