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dell'impero romano cap. xv. 269

Principe e dal Popolo si celebravano in onore delle particolari lor feste1. I Cristiani, che con pio orrore sfuggivano l’abominazione del circo o del teatro, trovavansi circondati da lacci infernali, ogni volta che in un geniale trattenimento i loro nemici, nell’atto di invocare gli Dei ospitali, facevano libazioni alla salute l’uno dell’altro2. Quando nella pompa dell’imeneo, la sposa, resistendo con affettata ripugnanza, veniva forzata ad entrar nella soglia della sua nuova abitazione3, o quando lentamente muovevasi la trista processione di un cadavere verso il funereo rogo4; in queste interessanti occasioni era costretto il Cristiano ad abbandonar le persone più care che avesse, piuttosto che rendersi reo della colpa, inerente a quegli empi riti. Qualunque arte e commercio, che avesse

  1. Vedi Tertulliano De spectaculis. Questo rigoroso riformatore non si dimostra più indulgente per una tragedia d’Euripide, che per un combattimento di gladiatori. L’offende specialmente la maniera di vestir degli attori; questi coll’uso di alti coturni tentavano empiamente di accrescere un cubito alla loro statura (c. 23).
  2. Si può trovare appresso tutti i Classici l’antica usanza di chiudere i conviti con libazioni. Socrate e Seneca diedero negli ultimi loro momenti un nobil esempio di tal costume. Postquam stagnum calidae aquae introiit, respergens proximos servorum, addicta voce, libare se liquorem illum Jovi liberatori. Tacit. Annal. XV. 64.
  3. Vedi l’elegante ma idolatrico inno di Catullo sopra le nozze di Manlio, o di Giulia. O Hymen, Hymenaee Io! quis huic Deo comparariet ausit?
  4. Virgilio descrive ne’ funerali di Miseno e di Pallante le antiche usanze con esattezza non minore di quella, con cui sono illustrati dal di lui commentatore Servio. Il rogo medesimo era un altare; si nutrivano le fiamme col sangue delle vittime; e tutti gli assistenti erano aspersi d’acqua lustrale.