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216 storia della decadenza

rigore1. Tenne verso il tiranno quel medesimo contegno, che poteva aspettarsi nella propria persona e famiglia, se fosse stato ei medesimo disfatto: fece morire i due figli di Massenzio, ed ebbe tutta la cura d’intieramente estirparne la razza. I più riguardevoli aderenti di Massenzio era da presumersi, che avrebbero avuto parte nella disgrazia di lui, come l’avevano avuta nella prosperità e ne’ delitti, ma nel tempo che il popolo Romano ad alta voce chiedeva un maggior numero di vittime, il vincitore con fermezza ed umanità resistè a que’ servili clamori, dettati dall’adulazione egualmente che dallo sdegno. Furon puniti ed avviliti i delatori; e gl’innocenti, che a torto avevan sofferto nella passata tirannia, richiamati furono dall’esilio, e rimessi al possesso dei loro beni. Un atto di generale obblivione del passato servì a quietare gli spiriti, ed a stabilire la proprietà di ciascheduno tanto nell’Italia quanto nell’Affrica2. La prima volta che Costantino colla sua presenza onorò il Senato, egli ricapitolò in un modesto discorso i servigi, che gli aveva prestati, e le proprie imprese; assicurò quell’illustre Ordine della sincera sua stima; e promise di ristabilirne l’antica dignità, e gli antichi privilegi. Il Senato, per gratitudine a queste non sincere proteste,

  1. Zosimo, il nemico di Costantino, confessa (l. II. p. 88) che solo pochi amici di Massenzio furon posti a morte; ma è da notarsi quel passo espressivo di Nazario (Paneg. Vet. X. 6.) Omnibus, qui labefactari statum ejus poterant, cum stirpe deletis. L’altro Oratore (Paneg. Vet. IX. 20, 21) si contenta d’osservare, che Costantino, quando entrò in Roma, non imitò i crudeli macelli di Cinna, di Mario, o di Silla.
  2. Vedi i due Panegirici, e nel Codice Teodosiano le leggi, fatte a tal proposito nell’anno seguente.