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dell'impero romano cap. xiv. 203

Massimiano ne furono con ignominia, secondo lo stabilito costume, cancellati i titoli, ed atterrate le statue. Il figliuolo di lui, che lo aveva perseguitato e abbandonato in vita, fece affettata mostra del più religioso rispetto per la sua memoria, ed ordinò che un simil trattamento fosse fatto a tutte le statue, che si erano erette nell’Italia e nell’Affrica in onore di Costantino. Questo savio Principe, il quale desiderava sinceramente di evitare una guerra, della quale egli bastantemente vedeva la difficoltà e l’importanza, dissimulò a principio l’insulto, e cercò i rimedi per la via più mite dei trattati, finchè non fu convinto, che gli ostili ed ambiziosi disegni dell’Imperatore italiano lo ponevano nella necessità di armarsi per la propria difesa. Massenzio, che apertamente dichiarava le sue pretensioni a tutta la monarchia dell’Occidente, aveva di già preparate forze considerabili per invader le Galliche province dalla parte della Rezia, e benchè non potesse promettersi alcun aiuto da Licinio, si lusingò colla speranza, che le legioni Illiriche, allettate dai suoi doni e dalle sue promesse, abbandonerebbero l’insegna di quel Principe, e si dichiarerebbero unanimemente suoi soldati e suoi sudditi1. Costantino non esitò più lungamente. Avea deliberato con cautela, ed operò con vigore. Diede privata udienza agli Ambasciatori, che a nome del Senato e del Popolo lo supplicavano a liberar Roma da un detestato tiranno; e senza curare le timide rimostranze del suo Consiglio, risolvette di prevenire il nemico, e portar la guerra nel cuor dell’Italia2 .

  1. Zosim. lib. II, 84-85. Nazar. in Panegyr. X. 7-13.
  2. Vedi Paneg. Vet. IX. 2. Omnibus fere tuis Comitibus