Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
202 | storia della decadenza |
Massenzio concesse sovente a’ suoi militari favoriti la superba villa o la bella moglie di un Senatore. Un Principe di tal indole, ugualmente incapace di governare o in pace o in guerra, potea ben comprare l’appoggio dell’esercito, ma non mai ottenerne la stima. Pure era la sua superbia uguale agli altri suoi vizi. Mentre egli passava l’indolente sua vita o dentro le mura del suo palazzo, o nei vicini giardini di Sallustio, si udiva ripetutamente vantarsi, che egli solo era Imperatore, e che gli altri Principi non erano che suoi luogotenenti, ai quali affidata avea la difesa delle province di frontiera, per poter godere senza interrompimento l’elegante lusso della Capitale. Roma, che sì lungamente avea pianta l’assenza del suo Sovrano, ne deplorò la presenza ne’ sei anni del regno di lui1.
[A.D. 312] Benchè Costantino vedesse con abborrimento la condotta di Massenzio, e con pietà la situazione dei Romani, non vi è ragion di presumere che volesse prender l’armi per punir l’uno e per sollevar gli altri. Ma il tiranno dell’Italia osò temerariamente di provocare un formidabil nemico, la cui ambizione era fino allora stata raffrenata da considerazioni di prudenza, piuttosto che da massime di giustizia2. Dopo la morte di
- ↑ Vedi ne’ Panegirici (IX. 14) una viva descrizione della indolenza, e del vano orgoglio di Massenzio. Osserva l’oratore in un altro luogo, che le ricchezze accumulate in Roma nel corso di 1060 anni, furon concesse dal Tiranno alle mercenarie sue truppe; redemptis ad civile latrocinium manibus ingesserat.
- ↑ Dopo la vittoria di Costantino si conveniva generalmente, che il motivo di liberar la Repubblica da un detestabil tiranno avrebbe in qualunque tempo giustificato la di lui spedizione in Italia. Euseb. in vit. Constant. l. I. c. 26. Paneg. Vet. IX. 2.