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dell'impero romano cap xiii. | 149 |
Roma, tredici giorni prima del tempo che si aspettava di vederlo comparire in Senato, rivestito colle insegne della dignità Consolare1.
L’avversione mostrata da Diocleziano per Roma e per la Romana libertà, non era l’effetto di un momentaneo capriccio, ma conseguenza della più artificiosa politica. Avea quell’accorto Principe abbozzato un nuovo sistema d’Imperial governo, che fu di poi perfezionato dalla famiglia di Costantino; e siccome nel Senato si conservava religiosamente l’immagine dell’antica costituzione, egli risolvè di spogliare quell’ordine de’ suoi piccoli avanzi di potenza e di considerazione. Possiamo rammentarci quali fossero, quasi otto anni avanti l’innalzamento di Diocleziano, la passeggiera grandezza e le ambiziose speranze del Senato Romano. Finchè prevalse l’entusiasmo, molti dei Nobili fecero imprudente mostra del loro zelo per la causa della libertà; e quando ebbero i successori di Probo cessato di proteggere il partito Repubblicano, non seppero i Senatori nascondere l’impotente loro risentimento. Fu affidata a Massimiano, come Sovrano dell’Italia, la cura di estinguere questo più incomodo che pericoloso spirito d’indipendenza, e tale incarico conveniva perfettamente al crudele carattere di lui. I più illustri membri del Senato, pe’ quali sempre mostrò Diocleziano un’affettata stima, furono dal Collega di lui involti nella accusa di immaginarie congiure, e la possessione di una magnifica villa o di un ben coltivato territorio era interpretata come una convincente prova di colpa2.