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dell'impero romano cap xiii. 135

terzo combattimento; e l’esercito Romano ebbe un’intera disfatta, attribuita alla temerità di Galerio, che con un piccolo corpo di truppe assalì l’innumerabile esercito dei Persiani1. Ma la considerazione del paese, che fu il teatro di questa azione, può suggerirci un’altra ragione della sconfitta di lui. Il terreno stesso, nel quale fu vinto Galerio, era divenuto fumoso per la morte di Crasso e per la strage di dieci legioni. Era questo una pianura di più di sessanta miglia, che si stendeva dai monti di Carre all’Eufrate; un raso, sterile ed arenoso deserto, senza una collina, senza un albero, o senza una sorgente di acqua dolce2. La grave infanteria dei Romani, oppressa dal caldo e dalla sete, non potea sperar la vittoria mantenendosi in ordinanza, nè disunirsi senza esporsi al più imminente pericolo. In questa situazione fu a poco a poco circondata dal numero superiore, affaticata dalle rapide evoluzioni, e distrutta dagli strali della nemica cavalleria. Avea il Re d’Armenia segnalato il suo valore nella battaglia e ricavata una gloria personale dalla pubblica calamità. Egli venne perseguitato fino all’Eufrate; era il suo cavallo ferito, e sembrava impossibile che fuggir potesse al vittorioso nemico. In questa estremità, Tiridate abbracciò l’unico scampo che si vide d’avanti, smontò e si lanciò nel fiume. La sua armatura era grave, molto profondo il fiume, e in quelle parti largo almeno mezzo miglio3:

  1. I nostri cinque compendiatori, Eutropio, Festo, i due Vittori, ed Orosio, tutti riferiscono l’ultima e gran battaglia; ma Orosio è il solo che parla delle due prime.
  2. La natura del paese è benissimo descritta da Plutarco nella vita di Crasso, e da Senofonte nel primo libro dell’Anabasi.
  3. Vedi la Dissertazione di Foster nel secondo volume della