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dell'impero romano cap xiii. |
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pezzi dallo zelo del vincitore; ed il fuoco perpetuo di Ormuz fu acceso e conservato sopra un’ara eretta sulla sommità del monte Bagavo1. Era ben naturale che un popolo, da tante offese inasprito, si armasse di zelo per la causa della sua indipendenza, della sua religione, e del suo legittimo Sovrano; il torrente abbattè ogni ostacolo, e pose in fuga la guarnigione Persiana. Corsero i nobili Armeni sotto lo stendardo di Tiridate, tutti allegando i loro passati meriti, offrendo i loro futuri servigi, e domandando al nuovo Re quelle cariche e quelle ricompense, dalle quali erano stati con dispregio esclusi sotto lo straniero governo2. Il comando dell’armata fu conferito ad Artavasde, il cui padre avea salvato Tiridate nella sua infanzia, e la cui famiglia era stata trucidata per quell’azion generosa. Ottenne il fratello di Artavasde il governo di una Provincia. Una delle prime cariche militari fu conferita al Satrapo Otas, uomo di singolar temperanza e fortezza, che presentò al Re la sorella di lui3, ed un considerabil tesoro, che aveva ambedue conservati in-
- ↑ Mosè di Corene, Stor. Armen. l. II. c. 74. Le statue erano state erette da Valarsace, che regnava nell’Armenia circa 130 anni avanti Cristo, e fu il primo Re della famiglia di Arsace (Vedi Mosè, Stor. Armen. l. II. 2, 3). La deificazione degli Arsaci vien menzionata da Giustino (XLI. 5.) e da Ammiano Marcellino. (XXIII. 6.)
- ↑ La nobiltà Armena era numerosa e potente. Mosè fa menzione di molte famiglie, le quali erano illustri sotto il regno di Valarsace (l. II. 7.) e le quali sussistevano ancora al suo tempo verso la metà del quinto secolo. Vedi la Prefaz. dei suoi editori.
- ↑ Si chiamava Chosroi-duchta, e non avea l’or patulum come le altre donne. (Stor. Armen. l. II. c. 79.) Io non intendo tal frase.