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114 storia della decadenza

partenenti ai nobili Galli, e addetta al suolo o col peso reale delle catene, o col non meno crudele e possente vincolo delle leggi. Durante la lunga serie delle turbolenze, che agitarono la Gallia, dal Regno di Gallieno a quello di Diocleziano, la condizione di questi servili contadini fu in ispecial modo meschina, e soffrirono ad un tempo stesso la complicata tirannia dei loro padroni, dei Barbari, dei soldati, e dei ministri dell’entrate1.

Cangiossi finalmente la sofferenza loro in disperazione. Si sollevarono essi a turme per ogni parte, armati di rustici strumenti con irresistibil furore. Divenne l’agricoltore soldato a piedi, montò a cavallo il pastore, i deserti villaggi, e le aperte indifese città furono abbandonate alle fiamme, e le devastazioni dei contadini eguagliarono quelle dei Barbari più feroci2. Sostenevano essi i naturali diritti degli uomini, ma li sostenevan per altro colla più selvaggia crudeltà. I nobili Galli, giustamente paventando la loro vendetta, si ricovrarono nelle città fortificate, o fuggirono dalla feroce scena dell’anarchia. Regnarono i contadini senza alcun freno; e due dei lor più arditi condottieri ebber la folle temerità di assumer gli ornamenti Imperiali3. Svanì ben presto la loro potenza all’arrivo delle legioni. La forza dell’unione e della disciplina riportò una facil vittoria contro una sfrenata e disunita moltitudine4. Furono severamente puniti i contadini presi colle armi

  1. L’oppressione e miseria loro vien confermata da Eumenio, (Panegir. VI. 8.) Gallias efferatas iniuriis.
  2. Panegyr. Vet. II. 4. Aurel. Vitt.
  3. Eliano ed Amando. Noi abbiamo delle medaglie da loro coniate. Goltzio in Thes. R. A. p. 117-121.
  4. Levibus proeliis domuit, Eutrop. IX. 20.