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dell'impero romano cap. ii. |
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la notte scesero sul Mondo romano. Le contrade occidentali furon tratte a civiltà dalle stesse mani che lo sottomisero. Appena i Barbari furon ricondotti alla obbedienza, le loro menti si aprirono a tutte le nuove impressioni delle scienze e della cultura. La lingua di Virgilio e di Cicerone, sebbene con qualche inevitabil mescuglio di corruzione, fu così universalmente adottata nell’Affrica, nella Spagna, nella Gallia, nella Britannia1 e nella Pannonia, che soltanto nelle montagne, o tra i contadini si conservarono le deboli tracce della lingua punica o della celtica2. L’educazione e lo studio inspirarono insensibilmente ai nativi di quei paesi i sentimenti dei Romani, e l’Italia diede le mode, come le leggi ai suoi provinciali latini. Essi ricercarono con maggiore ardore, ed ottennero con maggior facilità il titolo e gli onori di cittadino romano: sostennero la dignità della nazione nelle lettere3 e nelle armi: ed al fine produssero nella persona di Traiano un Imperatore che gli Scipioni non avrebbero ricusato per loro concittadino. La situazione
- ↑ Apuleio e S. Agostino saranno garanti per l’Affrica; Strabone per la Spagna e la Gallia; Tacito nella vita d’Agricola per la Britannia, e Velleio Patercolo per la Pannonia. A tutte queste testimonianze noi possiamo aggiugnere il linguaggio delle Iscrizioni.
- ↑ La lingua celtica si conservò nei monti del paese di Galles, di Cornovaglia, e dell’Armorica. Apuleio rimprovera l’uso della lingua punica a un giovane affricano, che viveva tra gli ultimi del popolo, mentre avea quasi dimenticata la greca, e che non sapeva o non voleva parlar latino. Apolog. p. 596. S. Agostino non parlò che rarissimamente in lingua punica ne’ suoi Concilj.
- ↑ La sola Spagna fu madre di Columella, dei due Seneca, di Lucano, di Marziale e di Quintiliano.