Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/90


dell'impero romano cap. ii. 53

doppio onore di aver prodotto Mario e Cicerone, il primo dei quali meritò, dopo Romolo e Camillo, di esser chiamato il terzo fondatore di Roma; ed il secondo, dopo aver salvata la sua patria dalla congiura di Catilina, la rendette capace di contendere con Atene la palma dell’eloquenza1.

Le province dell’Impero (come esse sono state descritte nel precedente capitolo) erano prive di ogni pubblica forza, o libertà costituzionale. Nell’Etruria, nella Grecia2 e nella Gallia3, la prima cura del Senato fu di sciogliere quelle pericolose confederazioni, le quali insegnavano agli uomini, che come le armi romane erano state vittoriose per le altrui divisioni, così l’unione sola poteva ad esse far resistenza. Quei Principi, ai quali l’ostentazione di gratitudine o di generosità permetteva per qualche tempo di reggere uno scettro precario, venivan balzati dai loro troni, appena avean soddisfatto all’incarico loro ingiunto di avvezzare al giogo le vinte nazioni. Gli Stati liberi e le città, le quali avevano abbracciata la causa di Roma, erano ricompensate con un’alleanza di nome, ed insensibilmente cadevano in una real servitù. La pubblica autorità era per ogni dove esercitata dai ministri del

  1. La prima parte della Verona Illustrata del marchese Maffei, dà la più chiara ed estesa descrizione dello stato della Italia al tempo dei Cesari.
  2. Ved. Pausania l. II. Quando queste assemblee non furono più pericolose, i Romani consentirono che se ne stabilissero i nomi.
  3. Cesare ne fa spesso menzione. L’Ab. Dubos non ha potuto provare che i Galli abbian continuato sotto gl’Imperatori a tenere queste assemblee. Stor. dello stabilimento della Monarch. Francese, l. I, c. 4.