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dicatori. Ma mentre riconoscevano i vantaggi generali della religione, eran persuasi che la diversità dei culti contribuiva ugualmente ai medesimi salutevoli fini; e che in ogni paese la forma della superstizione, che avea ricevuta la sanzione del tempo e dell’esperienza, era la più acconcia al clima ed a’ suoi abitatori. L’avarizia ed il buon gusto bene spesso rapivano alle vinte nazioni le eleganti statue dei loro Numi, ed i ricchi ornamenti dei loro tempj1, ma nell’esercizio della religione dei loro antenati, esse generalmente provavano l’indulgenza, anzi la protezione dei conquistatori romani. La provincia della Gallia sembra, ed in vero sembra soltanto, un’eccezione a questa universal tolleranza. Sotto lo specioso pretesto di abolire i sacrifizj umani, gl’Imperatori Tiberio e Claudio soppressero la pericolosa potenza dei Druidi2; ma si lasciarono sussistere in una pacifica oscurità, fino all’ultima distruzione del paganesimo, i sacerdoti, gli Dei ed i loro altari3.

Roma, la capitale di una gran Monarchia, era continuamente ripiena di sudditi e di stranieri di ogni parte del Mondo4 che tutti v’introducevano e professavano le superstizioni favorite de’ loro paesi5. Ogni città nell’Impero era autorizzata a mantenere la pu-

  1. Ved. la sorte di Siracusa, di Taranto, di Ambrachia, di Corinto ec. la condotta di Verre nell’Azione 2 or. 4 di Cic., e la pratica ordinaria dei governatori nella VIII Satira di Giovenale.
  2. Svetonio vita di Claudio; Plinio Stor. Nat. XXX I
  3. Pelloutier Stor. dei Celti, tomo VI, p. 230 252.
  4. Seneca De consolat. ad Helviam, pag. 74 edizione di Giusto Lipsio.
  5. Dionigi d’Alicarnasso, Antich. Rom. l. II.