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dell'impero romano cap. ii. | 43 |
I. La politica degl’Imperatori e del Senato, per riguardo alla religione, era felicemente secondata dalle riflessioni della parte illuminata dei loro sudditi, e dai costumi della parte superstiziosa. I diversi culti religiosi che si osservavano nel Mondo romano, erano tutti considerati dal popolo come egualmente veri; dal filosofo come egualmente falsi, e dai magistrati come egualmente utili. Di tal modo la tolleranza produceva non solo una scambievole indulgenza, ma eziandio una religiosa concordia.
La superstizione del popolo non era amareggiata da alcuna mistura di rancor teologico, nè vincolata era dalle catene di alcun sistema speculativo. Il politeista devoto, sebbene appassionatamente ligio a’ nazionali suoi riti, ammetteva con una implicita fede le diverse religioni della Terra1. Il timore, la gratitudine e la curiosità, un sogno o un augurio, un singolar disordine, o un viaggio lontano lo disponevano continuamente a moltiplicare gli articoli della sua credenza, o ad accrescer la lista de’ suoi protettori. La sottil tessitura della mitologia pagana era intrecciata di varj, ma non discordanti materiali. Col convenire che gli uomini saggi e gli eroi, i quali erano o vissuti o
- ↑ Erodoto è tra gli antichi quegli, che abbia meglio descritta la vera indole del politeismo. Il miglior commento di ciò ch’egli ci ha lasciato sopra questo soggetto, si trova nella Storia Naturale della Religione di Hume; e Bossuet nella sua Storia Universale, ce ne presenta il contrasto più vivo. Si scorge nella condotta degli Egiziani alcune deboli tracce d’intolleranza (Ved. Giovenale Sat. XV.) Gli Ebrei ed i Cristiani che vissero sotto gl’Imperatori, formano una eccezione molto importante, anzi tanto importante, che a discuterla si richiederà un capitolo a parte in quest’opera.