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24 | storia della decadenza |
Il campo di una legione Romana presentava l’aspetto di una città fortificata1. Appena ne era segnato la spazio, i guastatori ne spianavano esattamente il terreno, e toglievano ogni impedimento che potesse interromperne la perfetta regolarità. La sua forma era perfettamente quadrangolare; e può calcolarsi che un quadrato, del quale ogni lato era quasi due mila piedi, bastava per l’accampamento di 20000 romani; sebbene un simil numero delle nostre truppe presenterebbe al nemico una fronte di un’estensione più che triplicata. In mezzo al campo, il Pretorio o sia quartier generale, signoreggiava tutti gli altri; la cavalleria, l’infanteria e gli ausiliari occupavano i loro respettivi posti; le strade erano ampie e perfettamente diritte, e si lasciava da tutte le parti uno spazio vuoto di 200 piedi tra le tende e il terrapieno. Questo era ordinariamente alto dodici piedi, armato con una linea di palizzate forti e incrociate, e difeso da una fossa profonda e larga dodici piedi. Questo importante lavoro si faceva dai legionari medesimi, ai quali l’uso della zappa e della vanga non era meno familiare che quello della spada o del pilo. Una va-
- ↑ «Universa quae in quoque belli genere necessaria esse creduntur, secum legio debet ubique portare, ut in quovis loco fixerit castra, armatam faciat civitatem». Con queste enfatiche parole termina Vegezio il suo secondo libro, e la descrizione della legione.
tom. II p. 233 290) ha trattato delle macchine antiche con molta erudizione e sagacità; le preferisce perfino in molti conti ai cannoni ed ai mortari che noi usiamo. Conviene osservare che appresso i Romani l’uso delle macchine divenne più comune a misura che il valor personale e l’abilità militare sparvero nell’Impero. Quando non fu più possibile trovar uomini, convenne supplire a questa mancanza con macchine di specie diversa. Ved. Vegezio, II 25 ed Arriano.