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16 | storia della decadenza |
testa della legione, era argomento della loro più tenera divozione; nè si riputava cosa meno empia che infame, l’abbandonare quella sacra insegna nel tempo del pericolo1. Questi motivi, che dovevano la loro forza alla immaginazione, erano avvalorati da timori e da speranze di un genere più sostanziale. La paga regolare, i donativi nelle diverse occasioni, ed una sicura ricompensa alla fine del servizio, alleggerivano le asprezze della vita militare2, mentre dall’altra parte era impossibile alla codardia o alla disobbedienza di schivare il più severo castigo. I Centurioni potevano castigare con le percosse; i Generali avevano diritto di punir con la morte; ed era massima inflessibile della disciplina romana, che un buon soldato dovea temere i suoi uffiziali più che i nemici. Da tali lodevoli artifizj il valore delle truppe imperiali ricevè un grado di fermezza e di docilità, di cui non eran capaci le impetuose ed irregolari passioni dei Barbari.
E non ostante i Romani eran sì persuasi dell’imperfezione del valore, disgiunto dalla perizia e dalla pratica, che nella lor lingua il nome di una armata
- ↑ Tacito chiama le Aquile romane Bellorum Deos. Riposte in una cappella in mezzo al campo, erano esse adorate dai soldati al pari delle altre divinità.
- ↑ Vedi Gronovio de pecunia vetere, l. III p. 120 ec. L’Imperator Domiziano accrebbe l’annua paga dei legionarj sino a dodici pezze d’oro, circa venti zecchini nostrali. Questa paga si aumentò in appresso insensibilmente, secondo il progresso del governo militare e della ricchezza dello Stato. Dopo venti anni di servizio i Veterani ricevevano tremila danari, dugento zecchini in circa, o una porzione di terra equivalente a questa somma. La paga delle Guardie era doppia di quella de’ legionarj, ed in generale le Guardie godevano privilegi molto più considerabili.