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374 | storia della decadenza |
cura del nuovo Imperatore fu di liberare le province illiriche dal peso intollerabile dei vittoriosi Goti. Consentì a lasciare nelle lor mani i ricchi frutti della loro invasione, un immenso bottino, e ciò ch’era più vergognoso, un gran numero di prigionieri d’un ordine e d’un merito il più distinto. Fornì abbondantemente al loro campo tutti i comodi, che potessero addolcire la costoro ferocia, o facilitarne la tanto sospirata partenza; e promise perfino di pagar loro annualmente una gran somma d’oro, a condizione che non mai più ritornassero ad infestare colle loro incursioni i territori romani1.
Nel secolo degli Scipioni, i più opulenti Re della Terra, che richiedevano la protezione della vittoriosa Repubblica, si contentavano di doni così frivoli, che non potevano trar valore se non dalla mano, che ad essi largivali; una sedia d’avorio, una rozza veste di porpora, un piccol pezzo di argento, o una quantità di rame coniato2. Dopo che le ricchezze delle nazioni si concentrarono in Roma, gl’Imperatori mostrarono la loro grandezza, ed anco la politica loro, col regolare esercizio di una costante e moderata liberalità verso gli alleati dello Stato. Sollevavano la povertà dei Barbari, onoravano il loro merito, e ne ricompensavano la fedeltà. Questi volontari segni di benevolenza non s’intendeva che derivassero dalla paura, ma dalla generosità o dalla gratitudine dei Romani; e
- ↑ Zonara l. XII, p. 628.
- ↑ Una Sella, una Toga, una Patera di oro di cinque libbre di peso, furono accettate con piacere e con gratitudine dal ricco Re dell’Egitto (Liv. XXVII. 4.) Quina millia aeris, peso di rame del valore di circa 36 zecchini, era il solito presente fatto agli ambasciatori stranieri. Livio, XXI, 9.