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dell'impero romano cap. ix. 347

za improvvisa cagionava la loro disfatta; e la disfatta era quasi sempre una total distruzione. Quando noi riflettiamo all’intera armatura dei soldati romani, alla loro disciplina, agli esercizj, all’evoluzioni, ai campi fortificati, e alle macchine militari, restiamo giustamente sorpresi, che il nudo e non assistito valore dei Barbari osasse incontrare in campo la forza delle legioni, e delle diverse truppe ausiliarie, che secondavano le loro operazioni. Troppo fu ineguale il conflitto, finchè il lusso non ebbe snervato il vigore degli eserciti romani, e lo spirito di disubbidienza e di sedizione non n’ebbe corrotta la disciplina. L’introduzione dei Barbari ausiliarj in quelle armate fu un passo accompagnato da molti ovvj pericoli, giacchè così poterono i Germani a poco a poco istruirsi nelle arti della guerra e della politica. Benchè vi fossero ammessi in piccol numero e con le maggiori precauzioni, l’esempio di Civile fu proprio a convincere i Romani che il pericolo non era immaginario, e che le loro precauzioni non erano sempre bastanti1. Nelle guerre civili, che seguitarono la morte di Nerone, quell’artificioso ed intrepido Batavo, che i suoi nemici medesimi paragonarono ad Annibale ed a Sertorio2, formò un gran disegno di libertà e di ambizione. Otto coorti batave, rinomate nelle guerre della Britannia e dell’Italia, corsero sotto il di lui stendardo. Egli condusse un’armata di Germani nella Gallia, fece abbracciare il suo partito alle potenti città di Treveri e di Langres, disfece le legioni, distrusse

  1. La relazione di questa impresa occupa una gran parte dei libri quarto e quinto della Storia di Tacito, ed è più pregevole per l’eloquenza, che per la chiarezza. Enrico Saville vi ha osservate molte negligenze.
  2. Tacito Stor. IV 13. Avea come essi perduto un occhio.