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dell'impero romano cap. ix. | 343 |
riamente nell’isola di Rugen, visitò le diverse circonvicine Tribù de’ suoi adoratori. Durante il suo viaggio fu acchetato ogni rumore di guerra, le discordie rimasero sospese, le armi deposte: e gl’inquieti Germani ebbero l’occasione di godere i beni della pace e della concordia1. La tregua di Dio, così spesso e così inutilmente proclamata dal clero dell’undecimo secolo, era un’ovvia imitazione di quell’antica usanza2.
Ma l’influenza della religione era molto più capace d’infiammare, che di moderare le feroci passioni dei Germani. L’interesse ed il fanatismo spesso mossero i suoi ministri a santificare le più temerarie ed ingiuste imprese coll’approvazione del Cielo, e colle promesse di un felice successo. Le sacre insegne lungamente venerate ne’ boschi della superstizione, erano messe alla fronte della battaglia3; e l’esercito nemico veniva consacrato con orribili imprecazioni agli Dei della guerra e del fulmine4. Nella credenza dei soldati (e tali erano i Germani) la codardia è il più imperdonabile di tutti i peccati. Un uomo coraggioso era il degno favorito delle loro marziali divinità; lo sciagurato, che aveva perduto il suo scudo, era bandito dalle religiose e dalle civili assemblee dei suoi concittadini. Sembra che alcune Tribù settentrionali avessero abbracciata la dottrina della trasmigrazione5,
- ↑ Tac. c. 4.
- ↑ Vedi Robertson vita di Carlo V. Vol. I nota 10.
- ↑ Tacit. Germ. c. 6. Questi stendardi altro non erano che teste di animali feroci.
- ↑ Vedi un esempio di questo costume in Tacito, Annal. XIII. 57.
- ↑ Cesare, Diodoro e Lucano sembrano attribuire questa dottrina ai Galli, ma il Sig. Pelloutier (Stor. dei Celti l. XIII c. 18)