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dell'impero romano cap. ix. 337

cercava la loro amicizia; e la fama delle loro armi assicurava sovente la vittoria a quel partito ch’essi abbracciavano. Nell’ora del pericolo era vergogna pel Capo l’essere superato in valore da’ suoi compagni; e per questi era vergogna il non eguagliare il valore del loro Capo. Il sopravvivere alla caduta di lui nella battaglia, era una eterna infamia. Il più sacro de’ loro doveri stava nel proteggere la persona e adornare la gloria di lui con i trofei delle proprie geste. I Capi combattevano per la vittoria, i compagni pel Capo. I più nobili guerrieri, quando il loro paese nativo era immerso nell’ozio della pace, mantenevano le numerose lor truppe in qualche remota scena d’azione, per esercitarne l’instancabil coraggio, ed acquistar fama in quei volontarj pericoli. Il feroce destriero, la sanguinosa ed invitta lancia, doni ben degni di un soldato, erano le ricompense, che i compagni esigevano dalla liberalità del loro Capo. La rustica abbondanza della sua mensa ospitale era l’unica paga ch’egli potesse accordare, e ch’essi volessero ricevere. La guerra, la rapina, e le volontarie offerte de’ suoi amici fornivano i materiali di tale munificenza1.„ Questa istituzione, per quanto potesse accidentalmente indebolire le diverse repubbliche dei Germani, invigoriva però il generale carattere della nazione, e conduceva ancora a maturità tutte le virtù, delle quali i Barbari sono capaci, la fede, l’ospitalità e la cortesia, virtù tanto cospicue, gran tempo dopo, nei secoli della cavalleria. Un ingegnoso scrittore ha supposto, che gli onorevoli doni largiti dal Cupo ai suoi valorosi

  1. Tacit. Germ. 13, 14.