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330 | storia della decadenza |
Il disperato giuocatore, che aveva arrischiato la sua vita e la sua libertà ad un ultimo tiro di dado, ubbidiva con pazienza alla decisione della fortuna, e soffriva di essere legato, castigato, e venduto schiavo in luoghi remoti dal suo più debole, ma più fortunato avversario.
La birra gagliarda, liquore estratto con pochissimo artifizio dal grano, o dall’orzo, e corrotto (secondo la forte espressione di Tacito) ad una certa somiglianza col vino, bastava alle grossolane dissolutezze dei Germani. Ma quelli che avevano gustati i preziosi vini dell’Italia, e poi delle Gallie, sospiravano per quella più deliziosa sorgente di ubbriachezza. Non tentarono per altro (come dopo è stato eseguito con tanto successo) di far germogliare le viti sulle rive del Danubio e del Reno; nè procurarono di acquistare con l’industria i materiali di un vantaggioso commercio. Il procacciarsi con la fatica ciò che rapir si poteva con le armi, si riputava cosa indegna di uno spirito Germano1. L’inestinguibile sete di liquori forti spesso costrinse quei Barbari ad invadere quelle province, alle quali la natura o l’arte aveva accordati quei tanto invidiati doni. Il Toscano, che abbandonò la sua patria alle celtiche nazioni, le attrasse in Italia col bell’aspetto dei preziosi frutti, o dei deliziosi vini, produzioni di un clima più fortunato2. E nella stessa maniera i Germani ausiliarj, chiamati in Francia nelle guerre civili del sedicesimo secolo, furono allettati dalla promessa di avere abbondanti quartieri nelle province della Sciampagna e della Borgogna3. L’ub-