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dell'impero romano cap. viii. 315

che fanno agir di concerto ed animano una confusa moltitudine, erano sconosciute ai Persiani. Ignoravano parimente l’arte di costruire, assediare, e difendere le regolari fortificazioni. Si fidavano più nel numero che nel coraggio, e più nel coraggio che nella disciplina. L’infanteria era una truppa di contadini, codardi ed armati a metà, reclutati in fretta, ed adescati dalla speranza delle prede, e che egualmente si disperdevano per una vittoria o per una disfatta. Il Monarca ed i nobili portavano al campo la vanità ed il lusso del serraglio. Le militari operazioni erano impedite da un treno inutile di donne, di eunuchi, di cavalli e di cammelli; ed in mezzo ai successi di una fortunata campagna l’esercito persiano era spesso disperso, o distrutto da una fame improvvisa1.

Ma i nobili Persiani, nel seno del lusso e del dispotismo, conservavano un forte sentimento di personale bravura, e d’onor nazionale. Dall’età di sette anni erano avvezzati a dir sempre la verità, a maneggiare l’arco, ed a cavalcare; e per confessione universale aveano in queste due ultime arti fatto progressi incredibili2. La gioventù più illustre veniva educata sotto l’occhio del Monarca. Faceva gli esercizj dinanzi alla porta del palazzo di lui, ed era severamente avvezzata alla temperanza, ed all’obbedienza nelle lunghe e faticose cacce. In ogni provincia, il Satrapo manteneva una simile scuola di virtù militare. I no-

  1. Erodian. lib. VI p. 214. Ammiano Marcell. lib. XXIII c. 6. Sono da osservarsi alcune differenze tra questi due storici, conseguenze naturali dei cambiamenti prodotti da un secolo e mezzo.
  2. I Persiani sono tuttavia i più abili cavalcatori, ed i loro cavalli, i più belli d’Oriente.