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dell'impero romano cap. viii. |
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superstizione. Il digiuno ed il celibato, ordinarj mezzi per acquistarsi il favore divino, sono da lui con orror condannati, come un colpevol rifiuto dei migliori doni della provvidenza. Il santo, nella religione dei Magi, è obbligato a procreare figliuoli, a piantare alberi utili, a distruggere gli animali nocivi, a condur l’acqua nei terreni aridi della Persia, ed a lavorare per la propria salvezza, non omettendo alcuna delle fatiche dell’agricoltura. Si può ricavare dallo Zendavesta una massima saggia e benefica che compensa molte assurdità. „Quegli che semina il terreno con attenzione e diligenza, acquista un capitale più grande di merito religioso, che se ripetesse diecimila orazioni1„. Ogni anno di primavera si celebrava una festa destinata a rappresentare la primitiva uguaglianza, e l’attuale connessione degli uomini. I superbi Re di Persia, cambiando la vana lor pompa con una più sincera grandezza, si frammischiavano liberamente con i più umili ed i più utili insieme dei loro sudditi. In quel giorno gli agricoltori erano ammessi senza distinzione alla tavola del Re e dei Satrapi. Il monarca riceveva le loro suppliche, esaminava le loro querele, e conversava con essi con la maggiore famigliarità. „Dalle vostre fatiche„ soleva egli dire (e dirlo con verità se non con sincerità), „noi riceviamo la nostra sussistenza; voi dovete la vostra quiete alla vigilanza nostra; giacchè adunque noi siamo scambievolmente necessarj l’uno all’altro, viviamo insieme come fratelli in concordia ed amore2„. Una tal festa in un opulento e di-
- ↑ Zendavesta tom. I. p. 224, ed il compendio del sistema di Zoroastro tom. III.
- ↑ Hide De Relig. Pers. c. 19.