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dell'impero romano cap. vii. 289

coli, i Romani avevano acquistate le virtù militari e civili nella laboriosa scuola della povertà. Vigorosamente usando di quelle virtù, ed assistiti dalla fortuna, ottennero nel corso dei tre susseguenti secoli l’impero assoluto sopra molte regioni dell’Europa, dell’Asia e dell’Affrica. Gli ultimi trecento anni erano passati in un’apparente prosperità ed in una decadenza interna. Questa nazione di soldati, di magistrati, e di legislatori, che componeva le trentacinque tribù del Popolo romano, si disciolse nella massa generale degli uomini, e rimase confusa tra tanti milioni di vili provinciali, che avean ricevuto il nome di Romani, senza adottarne lo spirito. Un esercito mercenario, levato tra i sudditi e tra i Barbari delle frontiere, fu l’unica classe d’uomini, che conservasse la sua indipendenza, e ne abusasse ad un tempo. Con tumultuarie elezioni furono da loro innalzati al trono di Roma un Siro, un Goto, ed un Arabo, e rivestiti di un potere dispotico sopra le conquiste e la patria degli Scipioni.

L’Impero romano si stendeva tuttavia dall’Oceano occidentale fino al Tigri, e dal monte Atlante fino al Reno e al Danubio. Filippo sembrava all’occhio poco penetrante del volgo un Monarca non meno potente di Adriano e di Augusto. La forma era tuttora la stessa, ma la robustezza e la forza animatrice mancavano. L’industria del popolo era scoraggiata ed infiacchita da una lunga serie di oppressioni. La disciplina delle legioni, che sola, dopo l’estinzione di ogni altra virtù, avea sostenuta la grandezza dello Stato,

    Ma così poco conto può farsi della cronologia romana nei primi secoli, che il Cav. Isacco Newton ha trasportata la medesima epoca all’anno 627.