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dell'impero romano cap. vii. 281

desimi. La gelosia dell’autorità fu presto inasprita dalla diversità dei caratteri. Massimo disprezzava Balbino come un nobile dissoluto, ed era a vicenda sprezzato dal suo collega come un oscuro soldato. Benchè non si vedesse la loro tacita discordia, pure ognun l’intendea1; ma la consapevolezza de’ loro scambievoli sentimenti li distolse dall’unirsi per prendere vigorose providenze di difesa contro i Pretoriani, loro comuni nemici. Tutta la città era occupata nei giuochi Capitolini, e gl’Imperatori erano rimasti soli nel loro palazzo. Furono ad un tratto atterriti all’arrivo di una truppa di disperati assassini. Ignari dei disegni e delle situazioni scambievoli (giacchè sempre occupavano appartamenti lontani), temendo di dare o di ricevere aiuto, perdettero quei momenti importanti in vane dispute ed in rimproveri inutili. L’arrivo delle guardie terminò la vana contesa. Esse presero gl’Imperatori del Senato (che così li chiamavano con maligno disprezzo), li spogliarono dei loro ornamenti, e li strascinarono insolentemente in trionfo per le contrade di Roma, risoluti di far soffrire a questi Principi sventurati una morte lenta e crudele. Il timore che i fedeli Germani della guardia imperiale non corressero a liberarli, ne abbreviò i tormenti; ed i loro corpi, lacerati da mille ferite, furono abbandonati agl’insulti o alla compassione della plebe2.

Nello spazio di pochi mesi, sei Principi erano stati assassinati. Gordiano, che avea già ricevuto il titolo

  1. Discordiae tacitae, et quae intelligerentur potius quam viderentur. Stor. Aug. p. 170. Questa felice espressione è probabilmente presa da qualche migliore Scrittore.
  2. Erodiano l. VIII p. 287 288.