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rono la stima di un popolo, il cui affetto era impegnato in favore delle più amabili qualità di Balbino. I due colleghi erano ambidue stati Consoli (ma Balbino due volte); ambidue erano stati nominati tra i venti Luogotenenti del Senato, ed avendo uno sessanta, l’altro settantaquattro anni1, erano giunti ambidue alla piena maturità degli anni e dell’esperienza.

Dopo che il Senato ebbe conferito a Massimo ed a Balbino una egual porzione della potestà consolare e tribunizia, il titolo di Padri della patria, ed il congiunto uffizio di supremo Pontefice, salirono essi al Campidoglio per rendere grazie agli Dei protettori di Roma2. I riti solenni del sacrifizio furono disturbati da una sedizione del popolo. La sfrenata moltitudine non amava il rigido Massimo, e poco temeva il mite ed umano Balbino. Crescendo in numero, essa circondò il Tempio di Giove, sostenne con ostinati clamori il suo naturale diritto di consentire all’elezione del proprio Sovrano, e richiese con una moderazione apparente, che ai due Imperatori scelti dal Senato si aggiungesse un terzo della famiglia dei Gordiani, come giusta ricompensa di gratitudine per quei Principi, che aveano sacrificate le loro vite per la Repubblica. Massimo e Balbino, alla testa dei Pretoriani e dei giovani cavalieri, tentarono di farsi stra-

  1. Zonara l. XII. p. 622; ma come possiamo fidarci della autorità di un Greco sì poco istrutto della Storia del terzo secolo, che crea diversi immaginarj Imperatori, e confonde i Principi che hanno realmente esistito?
  2. Erod. l. VII p. 256, suppone che il Senato fosse prima convocato nel Campidoglio, e lo fa parlare con molta eloquenza. La Stor. Aug. p. 116 sembra molto più autentica.