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narj di quel giorno, e parea che tremante ed inquieto evitasse di considerare il proprio ed il pubblico pericolo. Una tacita costernazione avea sorpreso ognuno, finchè un Senatore, del nome e della famiglia di Traiano, riscosse i compagni dal lor funesto letargo. Rappresentò egli che la scelta di caute dilatorie misure non era da gran tempo più in lor potere; che Massimino, implacabile per natura, ed inasprito dalle offese, si avanzava verso l’Italia conducendo le forze dell’Impero; e che ad essi rimaneva la sola alternativa o d’incontrarlo coraggiosamente in campo, o di aspettar vilmente i tormenti e la morte ignominiosa, riservata ai ribelli infelici. „Abbiamo perduto„ prosegui egli „due eccellenti Principi; ma se noi non abbandoniamo noi stessi, le speranze della Repubblica non sono perite con i Gordiani. Vi restano molti Senatori degni del trono per le loro virtù, e capaci di sostenere co’ propri talenti la dignità imperiale. Eleggiamo due Imperatori, uno dei quali possa dirigere la guerra contro il pubblico nemico, mentre il suo collega rimarrà in Roma a regolare il governo civile. Io di buona voglia mi espongo al pericolo ed all’odiosità della scelta, e dò il mio voto in favore di Massimo e di Balbino. Ratificatelo, Padri coscritti, o proponete in loro vece altri più meritevoli dell’Impero.„ Il timore generale fe’ tacere le voci della gelosia; il merito dei candidati fu generalmente riconosciuto; ed il Tempio risuonò con sincere acclamazioni di „lunga vita e vittoria agl’Imperatori Massimo e Balbino. Voi siete felici per sentenza del Senato; e possa la Repubblica essere felice sotto il vostro governo1„.

  1. Vedi Stor. Aug. p. 166 sull’autorità dei registri del Se-