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dell'impero romano cap. vii. | 263 |
giovane Gordiano una rassomiglianza con l’Affricano Scipione; rammentavasi con piacere che la di lui madre era nipote di Antonino Pio, ed appoggiava le pubbliche speranze su quelle nascoste virtù, che fin allora, come si lusingava, erano rimaste occulte nel lusso indolente di una vita privata.
Appena i Gordiani ebbero calmato il primo tumulto di una popolare elezione, trasferirono la loro Corte, a Cartagine; vi furono ricevuti colle acclamazioni degli Affricani, che rispettavano le loro virtù, e che da Adriano in poi non aveano mai veduto la maestà, di un Imperatore romano. Ma queste acclamazioni non avvaloravano, nè confermavano il titolo dei Gordiani. Essi per massima e per interesse vollero sollecitare l’approvazione del Senato, e fu immediatamente spedita a Roma una deputazione dei più nobili provinciali per riferire e giustificare la condotta dei loro concittadini, i quali avendo lungamente sofferto con pazienza, si erano finalmente risoluti ad operar con vigore. Le lettere dei nuovi Principi erano modeste e rispettose. Si scusavano sulla necessità, che gli aveva obbligati ad accettare il titolo imperiale, ma sottoponevano la loro elezione ed il loro destino al supremo giudizio del Senato1.
Le inclinazioni del Senato non furono incerte, nè divise. I Gordiani, per la nascita e per le nobili alleanze, erano intimamente congiunti colle famiglie più illustri di Roma. Le ricchezze avean creato loro molti dipendenti in quel corpo, od il merito molti amici. La loro dolce amministrazione presentò il lusinghiero aspetto del ristabilimento non solo del governo
- ↑ Erod. l. VII p. 243; Stor. Aug. p. 144.