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dell'impero romano cap. vii. | 257 |
schiavi. Rammentava ancora l’amicizia di pochi, che aveano sollevata la sua povertà, ed assistite le sue nascenti speranze. Ma e quelli che aveano sprezzato, e quelli che aveano protetto il Trace, erano colpevoli dello stesso delitto, il quale era la cognizione della oscura di lui origine. Assai furono per questa colpa messi a morte, e Massimino, colla strage di molti suoi benefattori, pubblicò a caratteri di sangue l’indelebile istoria della sua viltà, e della sua ingratitudine1.
L’animo cupo e sanguinario del tiranno era aperto ad ogni sospetto contro i sudditi più illustri per nascita o per merito. Ogni volta ch’egli temea di qualche tradimento, l’implacabil sua crudeltà non avea alcun ritegno. Fu o scoperta o inventata una congiura contro la vita di lui; e Magno, Senator consolare, venne accusato di esserne il capo. Senza testimonj, senza processo, e senza aver luogo a difesa, Magno con 4000 dei suoi supposti complici fu messo a morte; e l’Italia, anzi tutto l’Impero, trovossi infestato da un numero incredibile di spie e di delatori. Per una leggerissima accusa, i primi tra i nobili romani, che aveano governate le province, comandati gli eserciti, e portate eziandio le insegne del consolato e del trionfo, erano incatenati su i pubblici carri, e sollecitamente trasferiti alla presenza dell’Imperatore. La confiscazione, l’esilio, o la semplice morte si consideravano come insoliti esempj della sua clemenza. Alcuni di quegli sventurati venivano per un ordine cuciti dentro lo pelli di bestie recentemente uccise, altri esposti alle fiere, ed
- ↑ Stor. Aug. p. 141. Erod. l. VII p. 237. Ingiustamente si accusa quest’ultimo Storico di aver nascosti i vizj di Massimino.